LUIGI CONFORTI: CAMPAGNA, AMORE MIO

di Umberto Martuscelli per Fiseveneto.com

2020.12.14 – Un nuovo futuro in Veneto per l’equitazione di campagna? Argomento interessante per mille motivi, non ultimo quello per cui la nostra magnifica regione offre la più completa varietà possibile agli amanti della disciplina: mare, montagna, collina, pianura, fiumi, laghi… Campanilismo a parte, c’è un territorio migliore del Veneto da questo punto di vista in Italia?

Di tutto questo parliamo con un uomo che rappresenta un’eccellenza assoluta per la materia, e proprio per questo recentemente nominato referente regionale per l’equitazione di campagna in seno al comitato Fise Veneto: Luigi Conforti.

In cosa consiste esattamente il suo ruolo?

«Nel prendere in mano tutto quello che fa parte del turismo equestre in Veneto. Il che significa seguire tutti i tecnici federali di equitazione di campagna, aiutarli nel loro lavoro e nella loro attività, coinvolgerli all’interno di un progetto organico e lungo tutte le fasi istituzionali che il comitato regionale della Fise determinerà insieme al sottoscritto e seguendo le mie indicazioni».

Perché è stato scelto lei per questo incarico?

«Io provengo dal Corpo Forestale nel quale sono stato responsabile del reparto a cavallo per il Veneto. Diciamo che io sono nato a cavallo dentro la natura, dentro la campagna, in montagna, nei boschi. Tra il 2000 e il 2012 ho già svolto questo incarico per il comitato regionale, poi ho abbandonato perché troppo impegnato nella mia attività: sempre a partire dal 2000 e fino a tutto il 2016 infatti io ho lavorato organizzando viaggi a cavallo. Poi nel 2016 sono stato nominato dalla Fise centrale nel ruolo di responsabile nazionale dell’equiturismo. Infine la carissima presidente di Fise Veneto, Clara Campese, mi ha chiesto se fossi disponibile a dare una mano… e io non solo per amicizia nei suoi confronti ma proprio per passione per la materia ho accettato di buon grado. Tra l’altro in un momento in cui l’equitazione di campagna proveniva da un periodo in cui era rimasta uno o due passi indietro, a livello nazionale».

Cosa vuol dire due passi indietro? In che senso?

«Le spiego. All’interno della Fise l’equitazione di campagna fa di certo parte del gruppo delle specialità meno seguite. O quanto meno di quelle che fino a due o tre anni fa non erano tra le più seguite, ecco. Poi per l’appunto circa tre anni fa cosa è successo? Che proprio l’equitazione di campagna secondo la percezione comune è stata inserita in quel mondo che viene definito della mobilità dolce, lo slow trekking, il muoversi dolcemente dentro la natura. Un mondo divenuto di gran moda. E quando una cosa diventa di moda automaticamente acquisisce un’importanza maggiore: proprio questo è capitato all’equitazione di campagna. Però nel frattempo, in un periodo grosso modo compreso tra il 2010 e il 2015, in tanti si sono allontanati dall’universo del cavallo per mille ragioni differenti, un abbandono che si è ripercosso sensibilmente anche sul mondo dei tecnici che operavano nel settore… Ci siamo sentiti un po’ lasciati a noi stessi, e questa è la ragione per cui tanti di noi hanno fatto un passo indietro e si sono ritirati. Adesso invece per le ragioni che ho detto la domanda si è incrementata enormemente: ma l’offerta non riesce a soddisfarla… Quindi dobbiamo assolutamente rianimare tutte le parti che fino a qualche tempo fa lavoravano dentro questa materia perché l’equitazione di campagna sta tornando a essere un qualcosa di molto richiesto: anche in questa prospettiva va inquadrata la proposta che mi è stata fatta da Clara Campese e dal comitato di Fise Veneto».

Quindi lei in sostanza intende dire che la gente ha una gran voglia di montare a cavallo in campagna ma non c’è la struttura tecnica adeguata per consentirlo?

«Esatto. In questi ultimi anni per esempio il mondo della bicicletta e anche quello della bicicletta elettrica hanno visto raddoppiare la quantità di praticanti, così come di quelli che amano camminare e fare escursioni a piedi: in generale sono aumentati vertiginosamente gli appassionati del mondo naturale, della naturalità, del vivere in natura. Io ho lavorato per trent’anni da Guardia Forestale nella foresta del Cansiglio e quando ci vado oggi rimango quasi allibito vedendo quella enorme quantità di persone che passeggiano in ogni angolo e lungo ogni sentiero: trent’anni fa non si vedeva anima viva… Questa voglia di naturalità ha necessariamente investito anche il mondo del montare a cavallo, ovviamente: cosa c’è di più naturale del vivere la natura insieme a un cavallo?».

Un fenomeno che va sfruttato al meglio, dunque…

«Certo, sì. Torno sul tema della domanda e dell’offerta: dobbiamo rimettere in piedi quel mondo, tutti quei circoli ippici che fino a qualche anno fa, diciamo un decennio circa, avevano al loro interno la pratica delle specialità olimpiche ma anche quella dell’equitazione di campagna, poi abbandonata per mancanza di richiesta… Adesso la richiesta è tornata e bisogna appunto soddisfarla oltre che sfruttarla per ripartire».

Per dare una maggiore e migliore offerta a questa domanda cosa bisogna fare?

«Bisogna rianimare il settore. A partire dal 2000, cioè da quando la Fise ha praticamente incluso l’equitazione di campagna tra le proprie specialità, io nel mio ruolo di responsabile regionale ho preparato circa duecento tecnici federali lungo i successivi dieci anni. Nel 2016 sono andato a vedere le liste: quelli che erano rimasti al loro posto continuando il loro lavoro erano cinquanta… Vuol dire che il settore stava agonizzando… Molti di questi tecnici hanno abbandonato la Fise per trasferirsi in qualche ente di promozione turistica: se per diventare tecnico con la Fise ci volevano dalle 150 alle 180 ore di corso, con alcuni di questi enti si ottenevano le qualifiche in un paio di giornate. Naturalmente a scapito della qualità e della professionalità, questo è ovvio direi».

E quindi, nel concreto?

«Nel concreto chi fa questo lavoro spesso ha voglia di essere professionale, ha voglia di far parte di una famiglia forte e solida: e quindi chi meglio della Fise può garantire alla famiglia forza e solidità? Di conseguenza il mio impegno sarà quello di riappropriarmi dei miei vecchi tecnici e ridare loro fiducia, il che vuol dire far loro capire che ci siamo di nuovo e soprattutto che questo è un momento estremamente favorevole per riprendere l’attività».

Ma tecnicamente parlando cosa si deve fare per recuperare queste professionalità perdute?

«Forti iniezioni di fiducia! Fuor di metafora, con Clara Campese abbiamo già preparato un programma: faremo una serie di stage che serviranno a qualificare ulteriormente i nostri tecnici i cui contenuti spazieranno per esempio da aspetti direttamente collegati all’essere in sella fino alla spiegazione dell’uso del gps nel nostro lavoro. Mi avvicinerò a tutti i circoli che fanno equitazione di campagna a partire già da gennaio del 2021, e chiederò ai relativi responsabili di darmi la lista completa delle loro iniziative e delle loro passeggiate così da poterle pubblicare sul sito del comitato in modo che chiunque possa essere aggiornato su tutto quello che accade nella nostra regione».

Quali sono le prerogative formali e sostanziali di un tecnico di equitazione di campagna? Cosa deve saper fare questo professionista?

«Partiamo con il dire che un tecnico federale di equitazione di campagna oltre a essere un ottimo cavaliere e uomo di cavalli deve avere anche una serie di competenze e di capacità che potremmo definire collaterali. Mi spiego. Se io lavoro all’interno di un campo ostacoli dentro un maneggio o una scuola di equitazione mi trovo in una situazione abbastanza sicura nel caso in cui si verifichino incidenti malaugurati ma tuttavia sempre possibili. Dai più banali fino a quelli più complessi: se un cavallo perde un ferro chiamo il maniscalco, se una persona cade e si fa male arriva l’ambulanza. Quindi in quella situazione il mio compito si limita al trasferire una serie di concetti tecnici circa il montare a cavallo: un compito di certo complesso e che richiede grandi competenze, tuttavia circoscritto a quella specifica area tematica».

Mentre invece il tecnico di campagna…

«Mettiamo che io esca alla testa di un gruppo di cinque presone. Prendo una stradina di campagna e mi trovo davanti un trattore con un carro di fieno che occupa l’intero spazio carrabile… Oppure da una fattoria escono di corsa due cani che iniziano ad abbaiare contro i cavalli che ovviamente si spaventano… Siamo in mezzo a una foresta e uno dei cinque cavalieri cade e si fa male… Oppure si fa male un cavallo… Ecco, io devo saper gestire tutte queste situazioni, sapere come intervenire sul singolo individuo ma anche sugli altri quattro, sul singolo cavallo ma anche sugli altri quattro. E tutto questo devo saperlo fare dopo aver già preventivamente istruito e addestrato le persone che escono con me a fronteggiare tutte queste eventualità. Ma non solo: nel momento in cui ci muoviamo all’interno di un ambiente naturale io come tecnico di equitazione di campagna devo anche essere capace di illustrare tale ambiente alle persone che sto accompagnando».

Cioè spiegare quello che si sta vedendo?

«Esattamente. Devo essere in grado di descrivere le piante e i fiori che incontriamo lungo il cammino, così come passando vicino a una villa veneta devo essere capace di raccontarne la storia alle persone che sono con me. Quello che dico sempre ai miei tecnici è che noi dobbiamo imparare a muoverci nello spazio e nel tempo: dobbiamo conoscere il territorio e dobbiamo conoscere il tempo vissuto da quel territorio».

È una prospettiva magnifica in effetti, ma corrisponde alla realtà? Cioè i tecnici di campagna oggi hanno davvero queste competenze e queste conoscenze?

«C’è chi le ha e c’è chi non le ha. Una cosa è certa: è finito il tempo in cui la guida, come si chiamava una volta, accompagna un gruppo di cavalieri dal punto A al punto B… Questo infatti era un tempo il compito della guida. Adesso invece il tecnico deve fare molto più di questo, tant’è vero che io ho introdotto nei miei stage una nuova materia che si chiama interpretazione naturalistica, e ho introdotto la parte ecologica, lo studio dell’ecologia e dell’ecosistema proprio perché il moderno tecnico federale di equitazione di campagna deve essere persona di grande competenza. Naturalmente chi è giovane recepisce molto di più e molto più efficacemente questo messaggio, mentre gli anziani fanno un po’ più fatica ad ampliare le proprie conoscenze in breve tempo. Sono ormai tre o quattro anni che io insegno in giro per l’Italia e mi sono reso conto che i giovani stanno affrontando questo nuovo percorso veramente con grande entusiasmo».

Beh, se tutto funzionasse per il meglio e questa realtà venisse diffusa nella maniera più ampia possibile avremmo non solo dei tecnici migliori ma proprio delle persone migliori…

«Mi piacerebbe moltissimo che tutto questo rappresentasse l’inizio di una vera e propria scuola per quanto riguarda la formazione dei tecnici di equitazione di campagna. Proprio di recente con la collaborazione e l’aiuto del comitato regionale veneto della Fise ho presentato un manuale per il tecnico federale di equitazione di campagna che verrà pubblicato prossimamente. Non ci si può legare al passato e rimanere lì, fermi, bisogna evolversi: oggi il tecnico di campagna deve essere protagonista dentro un ambiente, e quell’ambiente saperlo raccontare».

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