ALESSANDRO ROSSI

Alessandro Rossi in sella a Sully durante lo Csi di Birago (Milano) nel giugno del 1972

di Umberto Martuscelli per Fiseveneto.com

Poi un certo giorno arrivava questo enorme van e allora il parcheggio si animava di una confusione insolita, e proprio per questo ai nostri occhi del tutto eccezionale. Arrivava il conte Tommasi con i suoi allievi. Il conte Tommasi: un uomo che irradiava un fascino e un carisma impressionanti, soprattutto su di noi ragazzini che nemmeno avremmo avuto il coraggio di rivolgergli la parola. Qualcuno tra noi sapeva che lui era stato il principale responsabile della formazione tecnica di Stefano Carli: e dal momento che Stefano Carli per noi era la divinità suprema si può facilmente immaginare con quali occhi guardassimo il conte Alberto Tommasi di Vignano.
Il suo arrivo con i suoi allievi era per noi abbastanza sorprendente: certo nessuno si sarebbe preoccupato di avvisarci di questo. E quando lui e i suoi ragazzi arrivavano la Scuola Padovana di Equitazione si trasformava, per lo meno ai nostri occhi: si vedevano facce nuove, movimenti insoliti, cose strane. La prima cosa strana era questa: perché venivano a montare da noi, così, ogni tanto? Noi eravamo abituati che ognuno montava nel suo maneggio con gli orari rigidi delle riprese agli ordini di un istruttore. Poi si usciva per andare a fare i concorsi. Per noi ragazzini della Spe montare a cavallo era questo. Perché dunque il conte Tommasi che stava in un posto magnifico come il Centro Equestre Veneto a Mogliano portava i suoi allievi di tanto in tanto a Padova? Già, il Cev: anche questo contribuiva a farci vedere le cose secondo una prospettiva insolita. Il Cev voleva dire Alessandro Argenton, altra immagine divina della nostra adorazione: e dunque completo, ovviamente. Quindi il conte Tommasi e Alessandro Argenton, insieme, in quel posto: un concentrato di emozione, per noi che guardavamo da fuori, un’associazione di personaggi che per noi facevano parte di un altro livello, di un altro mondo anche.
La seconda cosa strana era questa: il conte Tommasi portava i suoi ragazzi nel grande campo ostacoli in sabbia scoperto e lì cominciava il lavoro, ma non in ripresa, no, bensì in libertà. Ma come? Noi eravamo abituati alle riprese ordinate e regolari, e solo dopo un bel po’ di lavoro il nostro istruttore ci dava l’ordine di muoverci a volontà (si diceva proprio così: lavoro a volontà). Invece quei ragazzi sembravano perfettamente autonomi, si muovevano in campo con i loro cavalli come se sapessero benissimo il da farsi sotto l’occhio vigile del conte Tommasi che parlava con loro individualmente, a voce bassa o alta ma comunque rivolgendosi sempre a uno o all’altro in modo preciso e specifico. Loro, quei ragazzi, davano l’impressione di essere ‘grandi’, di fare una cosa diversa da quella che facevamo noi. Beh, in effetti grandi lo erano davvero: più grandi di noi, cioè. Noi eravamo piccoli allievini, tra loro invece c’era chi faceva cose importanti. Alessandro Rossi, per esempio, che è nato nel 1951 e aveva quasi dieci anni più di noi, che aveva già fatto Piazza di Siena dopo tutta la trafila dei Saggi delle Scuole e dei Campionati d’Europa juniores con cavalli che si chiamavano Touch and Go, Riello, Battle Bright, Silver Miller, Damiette. Lui ai nostri occhi era il simbolo dell’eccezionalità degli allievi del conte Tommasi, anche per un fatto puramente… estetico. Sandro montava in un modo decisamente particolare, anche un po’ in antitesi rispetto ai principi tradizionali che – giustamente – ci venivano inculcati fin dal primo momento in cui si metteva il sedere in sella. Di base la sensazione era questa: che Sandro e il suo cavallo si sfiorassero reciprocamente nell’insieme dei loro movimenti. Sfiorarsi: sì, era questa la sensazione, come se uomo e cavallo fossero due entità capaci di incontrarsi e toccarsi senza alcun attrito o tensione o forza, scivolando delicatamente uno sul corpo dell’altro. Una leggerezza e una delicatezza di azioni e movimenti assoluta. Alto, magro e sottile, Sandro sembrava sospeso in sella, soprattutto quando montava cavalli molto insanguati come Damiette, per esempio, una cavalla baia francese che sembrava quasi una purosangue. Aveva anche delle particolarità tecniche forse non proprio ortodosse ma che gli conferivano per l’appunto quella leggerezza di azioni: per esempio la sua caviglia. La sua caviglia sembrava un ammortizzatore del peso della sua gamba su di un piede non inserito completamente dentro la staffa, e per questo più mobile di quanto in teoria avrebbe dovuto essere secondo i dettami della ‘nostra’ equitazione. Eppure il tutto si armonizzava perfettamente dentro questa sorta di sospensione aerea: quando Damiette e Sandro trottavano sembrava quasi che non toccassero terra. Poi c’erano anche alcuni dettagli che di tecnico avevano nulla ma che contribuivano a dare un’immagine: per esempio il maglione. Sandro montava spesso tenendo il maglione sulle spalle con le maniche annodate davanti, sul petto. E senza indossare il cap, e nemmeno un berretto. Cioè sembrava disporsi in una totale souplesse. Era una cosa impressionante. Noi eravamo abituati a montare vestiti di tutto punto dalla testa ai piedi con cap, guanti, frustino, speroni, e probabilmente anche magliette e maglioncini appositamente dedicati al montare a cavallo. Sandro invece sembrava che fosse in sella né più né meno come in una qualunque altra situazione della sua giornata: dando quindi la sensazione ‘visiva’ che per lui montare a cavallo fosse semplicemente una delle tante e normali attività quotidiane. Era proprio questo il significato di quel maglione tenuto sulle spalle e annodato davanti: noi non avevamo mai visto niente del genere. Sì: era una cosa impressionante.
L’Alessandro Rossi cavaliere era nato proprio alla Scuola Padovana di Equitazione: o meglio, a montare aveva cominciato a Vicenza, sua città natale, con il maresciallo Giovanni Cinti (che in seguito divenne l’istruttore dei ‘piccoli’ proprio alla Spe) nel 1961, per poi trasferirsi alla Spe nel ’66 ed essere seguito da quel vero e proprio maestro che era Efisio Murtas. Murtas diede a Sandro tutti gli elementi indispensabili sui quali poi si innestò la sapienza del conte Tommasi dopo che Rossi – nel 1970 – si trasferì per l’appunto al Cev. Da lì ebbe inizio la sua bellissima carriera di alto livello: sei partecipazioni allo Csio di Roma (con anche presenze in Coppa delle Nazioni e un 4° posto in Gran Premio su Silver Miller), poi gare di alto livello negli internazionali di Milano, Torino, Locarno, San Gallo, Merano, Napoli, Berlino, Lucerna, Palermo… Ma certo come dimenticare il suo esordio in Coppa delle Nazioni? Nel 1972, a Londra, nella mitica Wembley Arena, in sella a Silver Miller insieme a Raimondo d’Inzeo su Gone Away, Duccio Bartalucci su Galapagos e Claudio Marcocci su Talisman. E l’Italia al 2° posto alle spalle dei padroni di casa. E che dire della classifica finale del Gran Premio dell’internazionale di Palermo 1976? Vincitore Piero d’Inzeo su Easter Light, 2° David Broome su Philco, 3° Raimondo d’Inzeo su Bellevue, 4° Alessandro Rossi su Damiette.
Nel 1979 Sandro si laurea in veterinaria, svolge il servizio militare in cavalleria alla Scuola Militare di Equitazione di Passo Corese dove nasce la sua passione per  le corse al galoppo. Terminato il periodo in divisa Sandro nel 1981 smette di montare in concorso ippico per dedicarsi esclusivamente alla sua nuova passione per le corse e soprattutto alla sua professione di veterinario: nel 1987 tra l’altro ottiene il 4° posto nel Gran Premio delle Nazioni di Merano, non proprio una corsetta da niente con i suoi trentadue salti su seimila metri… Dirà poi il conte Alberto Tommasi: “Sandro è stato l’allievo con il quale mi sono trovato più in sintonia, capiva perfettamente quello che gli chiedevo; aveva una grande classe e finezza, dava all’equitazione un’interpretazione veramente musicale. Ecco perché lo ritengo colpevole di un peccato che non gli perdonerò mai: quello di aver smesso di montare troppo presto”. Già, come poter dare torto a Tommasi? E poi: come poter dimenticare quel maglione adagiato lievemente sulle spalle?

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