di Umberto Martuscelli per Fiseveneto.com Siamo tutti lì, intorno a un campo ostacoli. Un campo ostacoli immaginario, un campo ostacoli che non ha confini, che non ha perimetro… Un campo ostacoli che sta dentro i nostri pensieri, di noi che stiamo al nord, al sud, all’est o all’ovest, di noi che montiamo o che guardiamo o che parliamo o che scriviamo o che compriamo o che vendiamo o che insegniamo o che impariamo… Noi che siamo lì, comunque. Tutti insieme. Un insieme fatto di volti, di modi, di parole, di situazioni, di cose belle e brutte, di simpatie e di antipatie, di amicizie e di conoscenze e di presenze anche sconosciute. Però noi, alla fin fine. Siamo tanti o siamo pochi, non importa: siamo. La percezione di appartenere a una famiglia estesa e allargata, a volte fin troppo, ma comunque famiglia perché c’è qualcosa che accomuna tutti vero? Questo campo ostacoli immaginario, questo spazio quasi dello spirito più ancora che del corpo che ci riunisce tutti, che tiene viva la nostra attenzione e la nostra passione e la nostra voglia e attorno al quale noi ci riuniamo con il desiderio e la speranza di allontanarci mai: ecco cosa ci accomuna, ecco perché siamo tutti lì, ecco cosa tiene viva la nostra vita quasi senza che nemmeno noi stessi se ne sia consapevoli. Poi succede che qualcuno se ne vada, che qualcuno lasci questo campo ostacoli che non ha perimetro e non ha luogo e… ecco, quello è il momento in cui prende corpo in tutti noi il senso del tempo che scade, del cronometro che si ferma esattamente come quando si finisce un percorso e si taglia la linea delle fotocellule. Quel che è fatto è fatto, non si torna più indietro, il tempo è scaduto. Ma come scaduto? E tutte quelle cose che avremmo potuto fare e che non abbiamo fatto? Tutte quelle cose che avremmo potuto dire e che non abbiamo detto? Magari solo per noncuranza, per indifferenza, per egoismo, per cecità, per urgenza d’altro, per poca attenzione, per tutto e per niente? Il tempo scade e allora tutto si ferma intorno a questo campo ostacoli immaginario dando così modo di renderci conto che qualcosa è cambiato: uno di noi non c’è più, ecco cosa è cambiato. Oscar Baldo era un uomo allegro o un uomo triste? Forse in pochi ce lo siamo chiesto, forse non abbiamo mai nemmeno sentito il bisogno di chiedercelo. E adesso lui non c’è più. Lui, un pezzo di questa enorme famiglia allargata che vive intorno a questo campo ostacoli del sentire e del volere… Però adesso sentiamo anche quello che Oscar ci fa sentire: il dolore per aver perduto opportunità importanti e ormai irripetibili. Il dolore – il senso di colpa, anche – per tutte le volte che si è pronunciato quel ridicolo e illogico scambio di battute da incontro in concorso, quello che ripetiamo all’infinito ogni volta che incrociamo qualche componente di questa comunità, conosciuto o sconosciuto che sia: “Come va, tutto bene?”, “Tutto bene, grazie. Tu?”, “Tutto ok, ciao”, e via, incrocio terminato… Non sappiamo se Oscar Baldo fosse un uomo triste o allegro: di certo era un uomo discreto. Un uomo che intorno al nostro campo ostacoli senza perimetro e senza luogo è stato sempre presente senza mai far sentire il peso del suo esserci. Di sicuro c’è chi oggi si accorge della sua assenza più di quanto si sia mai accorto della sua presenza: questo sì. |