CLARA CAMPESE: MENTE E CUORE PER UN’UNICA PASSIONE

di Umberto Martuscelli per Fiseveneto.com

2020.01.25 – Tre anni possono essere tanti o pochi, a seconda dei punti di vista. Per Clara Campese in ogni caso non si tratta di una questione di quantità: bensì di qualità. Tre anni nel ruolo di presidente del comitato regionale veneto della Fise durante i quali lei ha completato un ciclo personale avviato in precedenza con due mandati da consigliere, il primo durante l’ultimo quadriennio di presidenza di Raimondo Galuppo, il secondo durante il quadriennio di presidenza di Maria Vittoria Valle. Anzi, a voler essere proprio precisi un ciclo avviato ancor prima: quando da ragazzina si è avvicinata per la prima volta a un cavallo… rimanendo folgorata da un amore che ancora oggi vive e pulsa forte più che mai.

«Direi che questi ultimi tre anni sono stati per me una grande esperienza prima di tutto da un punto di vista umano. Ecco sì, questo soprattutto».

Quindi qualcosa che l’ha toccata nel profondo…

«Oh sì, eccome! Ho rivalutato e per certi aspetti anche completamente modificato alcune mie convinzioni circa il miglior modo di pensare prima e di agire poi per dare il contributo più idoneo alla realtà del nostro sport, del nostro ambiente, della nostra regione».

Per esempio?

«Beh, potrà sembrare banale da dire, ma una cosa che ho imparato, ed è una lezione utilissima da applicare anche nella vita di tutti i giorni in qualunque ambiente, è quella di saper ascoltare. Saper ascoltare è una grande cosa. Ma saperlo fare davvero non è così facile, non quanto si potrebbe credere».

Tre stagioni importanti, quindi. Ma quest’anno scade il quadriennio e ci saranno le elezioni per il rinnovo dei quadri federali sia centrali sia locali. Lei cosa farà: si proporrà per proseguire nel suo incarico attuale oppure percorrerà altre strade?

«Sì, scade il quadriennio e quindi è giusto parlare di questo argomento con molta onestà e a cuore aperto. Dico questo: io dentro di me avverto molto forte il bisogno di dare il mio contributo. Come se fosse un po’ la mia missione, e sento di dirlo con il cuore più che con la mente. Per missione intendo assunzione di responsabilità nei confronti del mio prossimo, della collettività. Nel mio piccolo, ovvio, limitatamente a quelle che sono le mie capacità: ma per quanto piccola e relativa possa essere la portata di questo mio contributo, comunque proviene dal cuore, è una cosa che io sento di avere dentro. Premesso ciò, rispondo alla domanda. Io sono innamorata della mia regione, il Veneto: amo profondamente questo complesso di persone, di cavalli, di vicissitudini, anche di problematiche e di difficoltà, amo tutto questo proprio come se si trattasse della mia famiglia, e non temo nella maniera più assoluta di pormi anche in modo un po’ scomodo nei confronti di alcune situazioni perché quando si è mossi dall’amore profondo non si ha paura di niente. Quindi al primo posto c’è il mio Veneto, la mia regione. Però c’è anche quel senso di responsabilità, quella missione di cui parlavo prima… Varie persone mi hanno chiesto di valutare la possibilità di fare un passo ulteriore nell’ambito di questi ruoli istituzionali dimostrandomi una fiducia che francamente non so se è davvero meritata… Certo è che animata come sono da questa mia grande passione mi sento di dire molto prudentemente che non escludo nulla a priori. Ma ugualmente a priori nemmeno me ne faccio un’angoscia… Quindi, se sarà, sarà. Se non sarà non sarà, e lo dico con la massima serenità d’animo».

Nel passare nel ruolo di presidente dopo due quadrienni da consigliere è cambiato il suo modo di percepire le problematiche della vita amministrativa e politica del comitato regionale?

«È una bella domanda, e mi induce a dare una risposta tutto sommato facile perché ho riflettuto a lungo su questo tema. Per capire cosa significhi davvero vivere un determinato ruolo bisogna sperimentarlo da dentro, dall’interno: c’è sempre molta differenza tra il pensare come potrebbe essere una situazione e quindi giudicarla, e poi vivere quella situazione. Le prospettive sono molto diverse. Sicuramente il ruolo di consigliere mi ha permesso di capire quale sia il modo di far funzionare il motore propulsore che deve spingere in avanti le iniziative e la gestione di un’organizzazione e di un’istituzione come un comitato regionale. Però la visione è parziale. Nel ruolo di presidente invece la visione deve essere ampia: e saper bilanciare e gestire tutte le dinamiche della vita di un comitato in modo che se ne producano solo benefici, e non quelle disarmonie che rallentano la velocità con cui si compie il percorso di sviluppo e di crescita».

Il che talvolta potrebbe porre la necessità di prendere decisioni non facili…

«Eh sì, in questo ruolo fare o dire qualcosa anche di scomodo può essere necessario: in questo caso bisogna avere il coraggio di farlo. Ma sempre nel rispetto delle idee altrui, anche se diverse, questo è il punto: non bisogna prevaricare e imporre, no, in questo modo viene meno il dialogo. Bisogna invece avere la capacità di non lasciarsi condizionare troppo dal gradimento o dal fastidio personale e saper andare a vedere cosa ci può essere di buono anche dietro alle cose che non ci piacciono. Ecco, questo richiede una grande capacità di guardare al futuro, di capire quello che veramente serve alla regione, non quello che io come individuo ritengo sia giusto o sbagliato».

Occupando la posizione che ha occupato nel corso di questi ultimi tre anni, che idea si è fatta del rapporto tra periferia e centro? Si è trovata a rivalutare o riconsiderare la realtà e le dinamiche federali?

«Diciamo che mi si è allargata la visione. Ai tempi della mia esperienza di consigliere ero più focalizzata sul fatto che la Fise dovesse preoccuparsi di fare il meglio per l’attività sportiva in senso stretto, tecnico, agonistico, ludico, promozionale… Ma c’è un altro aspetto che sta sia sopra sia sotto: quello umano. Cioè i nostri migliaia e migliaia e migliaia di tesserati sono prima di tutto persone. Sono persone che hanno la necessità di crescere da un punto vista sportivo ma anche da un punto di vista umano e sociale dentro il nostro sport, ed è qui che la federazione deve intervenire, è qui che la federazione deve mettersi davanti al carro per trainare questa grandissima popolazione di sportivi e di persone in una direzione socialmente ed eticamente più evoluta. A volte si usano le parole etica e morale un po’ a sproposito. Non si devono solo pronunciare, queste parole: l’integrità va manifestata nei fatti, se è un’integrità vera. Altrimenti sono solo chiacchiere».

Se dovesse dire quali sono state le gioie più grandi di questi suoi tre anni di presidenza?

«Sono state tante, e anche molto frequenti: tutte le volte in cui mi sono trovata a rappresentare la mia regione, i miei giovani, ad accompagnare i miei giovani in quelle manifestazioni in cui le regioni partecipano con le proprie squadre… Le mie gioie più grandi sono quando sono con loro, in realtà io mi sento una di loro. Mi sono scoperta quasi in un ruolo materno: mi risulta difficile dirlo perché non sono madre, ma ho scoperto questa sensazione, proprio come se io avessi bisogno di loro».

Invece i momenti di maggiore difficoltà?

«Niente di troppo preciso. Diciamo due situazioni di senso generale. Una di carattere interno alla mia regione, l’altra esterno alla mia regione. Nel primo caso soprattutto all’inizio del mio mandato mi sono trovata a dover affrontare alcune situazioni tenendo il… timone fermo, diciamo, cosa che mi è anche costata abbastanza dal punto di vista emotivo».

In ambito esterno al Veneto?

«Tu non la pensi come me, allora sei mio nemico. Ecco: questo è il problema maggiore della nostra mentalità: creare forzatamente questa situazione di ostilità, il che si traduce poi in una zavorra pesantissima ai piedi di un’istituzione che invece dovrebbe muoversi agilmente e in armonia. Ecco perché prima dicevo che bisogna saper ascoltare e rispettare gli altri: non possiamo pensarla tutti allo stesso modo, ma forse proprio chi non la pensa come me è portatore di nuove idee, magari può essere proprio lui o lei il soggetto protagonista di nuovi contributi. Bisogna saper accogliere il parere diverso: diversità non vuol dire ostilità, vuol dire arricchimento, possibilità di arricchimento. Si parla, ci si confronta, si valutano le idee e poi si decide per il bene dello sport, non secondo gli interessi personali. Non bisogna porre barriere preconcette. Io spesso mi impegno per trovare la forza e la fiducia in me stessa per dire le cose senza farmi sopraffare dal timore di poter essere giudicata come un nemico: espongo le mie idee con calma ed educazione, ma lo faccio, le metto lì perché se ne discuta, non certo per affermarle in maniera assoluta. Sono due gli aspetti deteriori di questo difetto di mentalità: non emergono le idee, oppure se emergono e non sono in linea con il pensiero dominante vengono valutate come ostili e quindi non considerate».

Un difetto di mentalità esteso anche a molte aree della nostra società diverse dallo sport, soprattutto in questi ultimi tempi, in effetti…

«Bisogna favorire l’interazione e il dialogo tra le persone. Il più possibile. Su questo c’è ancora molto da fare, e si può fare. In tutti c’è tanto di buono: magari quel buono sta sotto, nel profondo, e per portarlo in superficie ci vuole il dialogo. Ma è necessario avere gli esempi, i modelli cui rifarsi».

Inizia il 2020: quali sono le prospettive per il Veneto e i suoi personali auspici per la vita e l’attività della regione?

«Bisogna cercare di migliorare quello che si è già fatto. Nel corso del tempo sono nate esigenze nuove, consapevolezze nuove, tra l’altro stiamo avvicinando il cavallo sempre di più a quegli ambiti sociali e umani in cui questo nostro meraviglioso compagno si presta ad agire come portatore di valori importanti. Devo dire che c’è molta mobilitazione sul territorio, c’è molta partecipazione alla vita federale regionale: questo vuol dire che la gente si sente coinvolta. È naturalmente un gran bene: più siamo nella condivisione e meglio possiamo muoverci in avanti, verso il futuro».

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