LE PAROLE DI ANTONIO
di Umberto Martuscelli per Fiseveneto.com – 2017.09.26 –
Nel duomo di Abano Terme ieri c’è stata la messa in ricordo di Antonio Rasero. È strano scrivere questa prima riga: la messa in ricordo di Antonio Rasero… Perché ‘in ricordo’… ? Beh, ovvio, è una formula abbastanza standard, quando qualcuno ci ha da poco lasciato, quando qualcuno ha oltrepassato quel confine piuttosto misterioso per noi tutti che rimaniamo al di qua. Davanti allo schermo del mio pc scrivo adesso queste righe parlando in prima persona, scrivo quello che sto pensando: per esempio sto pensando che qualche tempo fa il generale Amos Cisi nell’annunciare la scomparsa di una persona cara aveva usato un’espressione particolare: è andato avanti. È andato avanti. Non so se sia un’espressione personale di Amos, se sia un’espressione convenzionale in ambito militare, se sia semplicemente un modo di dire una cosa… Io non avevo mai sentito prima un’espressione del genere, o forse l’avevo sentita senza mai farci più di tanto caso. In effetti il passare del tempo e l’avanzare dell’età ci fa essere più attenti a determinate cose. Però quell’espressione mi ha colpito: è andato avanti… Dà perfettamente l’idea di un gruppo unito di persone che stanno compiendo un cammino rimanendo fianco a fianco l’una dell’altra, quando a un certo punto una di loro si stacca aumentando la velocità del movimento per precedere il gruppo e andare in avanscoperta, per vedere cosa c’è più avanti, per vedere se la strada è giusta, se è praticabile, se è accidentata… E naturalmente si presume che poi vi sia una comunicazione, un messaggio… si presume che questa persona poi torni indietro verso il gruppo per informare tutti di ciò che si trova là, più avanti… Si può proseguire? È la strada giusta, questa? Bisogna stare attenti? Meglio cambiare direzione? Una comunicazione di qualche tipo, insomma. Ecco. Quindi Antonio Rasero – Antonio e basta, senza Rasero, non adesso, non qui… – quindi Antonio è andato avanti, come dice Amos Cisi. Ma è tornato indietro per informarci di qualcosa? Ha raggiunto nuovamente il gruppo che gli è rimasto alle spalle? Ha percorso il cammino inverso per unirsi nuovamente a noi e dirci qualcosa, raccontarci qualcosa, descriverci qualcosa? Beh, insomma, adesso è inutile fare della facile retorica puramente formale: la realtà è che Antonio secondo il linguaggio convenzionale degli esseri umani è morto, quindi questa parola, questa espressione sottintende il fatto che noi – il gruppo – non lo vedremo più fisicamente davanti ai nostri occhi. Ma non vederlo più fisicamente davanti ai nostri occhi vuol dire che… non lo vedremo più del tutto? No certo. Assolutamente no. Antonio rimane qui con noi, nel nostro sguardo, nella nostra mente, proprio come quando stava camminando insieme a tutti noi. Non è una metafora: è una realtà. Io adesso mentre sto scrivendo queste righe lo vedo e lo penso esattamente come lo vedevo e lo pensavo un anno fa, sei mesi fa, dieci anni fa, la settimana scorsa, vent’anni fa: vedo Antonio, penso Antonio, sento quella sua tipica transizione vocale da toni bassi a falsetti acutissimi, vedo i suoi occhi che si chiudono nella risata, osservo il suo passo rapido e breve, assisto a quel suo sconcertante (a volte, per l’interlocutore) passaggio da espressioni arrabbiate a immediatamente allegre, apprezzo come sempre il suo distacco nel valutare persone e situazioni… Quindi Antonio è andato avanti e… sì, in un certo senso è anche tornato indietro per avvisarci, per dirci, per raccontarci: per lasciarci qualcosa di questo suo averci preceduto in avanscoperta. Questo qualcosa ieri nel duomo di Abano è stato evidente nel solo fatto di esserci trovati tutti lì: questo qualcosa era la nostra presenza lì. Antonio ci ha riunito lì. Una piccola comunità unita e riunita per lui. Come se il suo tornare indietro si fosse concretizzato nel nostro riunirci per ascoltare quello che lui avrebbe dovuto dire a tutti noi. Amici, venite qui che adesso vi racconto… Certo Antonio, eccoci qui, dai, racconta… E cosa ci ha raccontato Antonio? Per esempio una cosa importante. Il fatto che ognuno di noi ha una vita propria, una famiglia propria, un’attività propria, possedendo però un pezzetto di qualcosa che è proprietà di tutti. Una proprietà condivisa e allo stesso tempo esclusiva: una proprietà esclusiva di questa piccola (o grande, a seconda dei punti di vista) comunità che è riunita e coagulata intorno a un sentimento e a una passione, e però una proprietà condivisa da tutti i componenti questa stessa comunità. Questa proprietà esclusiva e condivisa ci fa stare insieme, ci fa essere fratelli e amici, ci rende uguali pur nelle nostre diversità e nelle nostre differenze: perché quel pezzetto che possiedi tu è esattamente identico al pezzetto che possiedo io, e quello che possediamo di identico insieme a tutti gli altri che come noi possiedono un pezzetto della stessa cosa crea quel tutto nel quale ci identifichiamo, la nostra passione, il nostro amore, questo qualcosa al quale tutti noi dedichiamo la nostra vita chi per lavoro e chi per semplice piacere ma in entrambi i casi con una forza e un’intensità emotiva che differenzia tutti noi appartenenti a questa comunità dagli abitanti del resto del mondo. Noi siamo questo. Era evidente ieri: ci siamo trovati in tanti, giovani e meno giovani, persone che hanno conosciuto Antonio quando era un ragazzino e persone che hanno conosciuto Antonio solo adulto e maturo, persone più anziane di lui e persone più giovani di lui… Noi. Il gruppo che sta camminando. Antonio è tornato indietro per dirci tutto questo. Adesso, scritte e lette qui, queste sembrano solo parole, ma ieri nel duomo di Abano Terme tutti noi abbiamo sentito la vita. La stessa vita che Antonio ha vissuto, vive e vivrà con noi.