MICHELE FACCHIN

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di Umberto Martuscelli per Fiseveneto.com

C’era una volta (e forse c’è ancora, chissà) un piccolo centro ippico… cioè, centro ippico è un’espressione forse un po’ altisonante… diciamo un posto dove si tenevano dei cavalli, ecco… Allora, c’era una volta – siamo all’inizio degli anni Settanta – un posto dove si tenevano dei cavalli in un piccolo paese in provincia di Treviso che si chiama Gorgo al Monticano, vicino Motta di Livenza, Oderzo, Chiarano, da quelle parti, insomma. Un piccolo paese. In questo paese c’è una bella villa – oggi hotel e ristorante piuttosto esclusivi – nelle cui adiacenze e barchesse era nato questo posto dove si tenevano cavalli. C’era un campo ostacoli in sabbia sempre piuttosto polveroso, una scuderia con i cavalli in posta (e solo qualche box) ricavata da alcuni fabbricati che tempo prima dovevano essere stati i magazzini di quell’azienda agricola, qualche piccolo locale adibito a selleria e a ricovero degli attrezzi e dei mangimi, un fienile dove stivare la paglia e il fieno.

C’era anche un istruttore, probabilmente non istruttore in senso formale: diciamo uno che diceva alla gente cosa doveva fare per stare in sella, ecco. Si chiamava Romano e portava i Ray-Ban con le lenti gialle e gli stivali neri con la fascia marrone. C’era anche un anziano uomo di scuderia che stava sempre in canottiera e che faceva cose strane: per esempio entrava nei cespugli di ortiche alte più di un metro e le afferrava a mani nude, con bracciate circolari come se fosse in piscina: solo che anziché muovere le braccia nude in acqua le muoveva nel fitto delle ortiche. E poi si voltava sorridendo dicendo che tanto a lui le ortiche non facevano niente. Una cosa piuttosto strana, in effetti.

I cavalli che stavano in questo posto avevano nomi che sembravano finti: quelli che potrebbero essere usati nei cartoni animati per bambini (di allora). C’era Coconoco, Brodetto, Frate… i cavalli si chiamavano così. Poi c’era la star della scuderia, un cavallo sul quale si favoleggiavano leggende impressionanti: che fosse ferocissimo, che solo poche persone avrebbero potuto avvicinarlo e ancora meno montarlo… Questo cavallo era morello, proprio nero nero nero, e naturalmente si chiamava Nerone: un nome che soprattutto ai ragazzini incuteva un vero e proprio terrore. Guai ad avvicinarsi a Nerone. E se lo si voleva guardare mentre se ne stava nella sua posta bisognava farlo velocemente e senza farsi notare da lui: che poi lui si sarebbe potuto ricordare di quello sguardo e chissà cosa sarebbe potuto succedere…

C’era però anche un altro cavallo. Che si chiamava Mike. Era grigio. Completamente bianco. Quindi aveva spesso delle chiazze giallastre qua è là sul corpo: la sua tolettatura non era sempre impeccabile… Mike era piuttosto brutto. Anzi: era davvero bruttissimo, poveretto. E su di lui nessuno raccontava leggende affascinanti e terrificanti come su Nerone. Mike era basso e tozzo, anche un po’ lungo in proporzione; aveva l’incollatura talmente corta che il mento e il petto quasi si toccavano. Inoltre l’effetto generale era reso per giunta peggiore dal fatto che la criniera non gli si piegava né a destra né a sinistra se non una volta raggiunta un’altezza improponibile: per cui gli veniva rasata e quando ricresceva sembrava una specie di gigantesca spazzola estesa dalle orecchie al garrese. Questo cavallo veniva spesso montato da un ragazzo che si chiamava Michele. Un ragazzo che non parlava tantissimo, ma che era sempre molto gentile. Gentile come suo padre, un uomo di una straordinaria dolcezza di modi e di parole. Il padre e la madre di Michele lavoravano a casa di un piccolo industriale, Aldo Padoan, proprietario di una fabbrica a Motta di Livenza che produceva serramenti in metallo per porte e finestre di vario tipo, saracinesche per garage e negozi, cose così. Aldo Padoan aveva una grande passione per l’equitazione: e aveva anche delle idee tutte sue a proposito dei cavalli e del modo di montarli. A casa si era costruito una bella piccola scuderia con un campo ostacoli in erba, un campo di lavoro in sabbia e un maneggio coperto. In maneggio coperto c’era perfino il telefono: con un filo molto lungo, così da poter parlare anche stando a cavallo. Per un certo periodo di tempo i cavalli di Aldo Padoan li aveva montati anche Sante Bertolla, all’inizio della sua carriera di cavaliere. Comunque i genitori di Michele lavoravano lì: il papà faceva il groom della scuderia. Però Michele andava a montare anche a Gorgo al Monticano, che da Motta di Livenza è raggiungibile in bicicletta in pochi minuti. Michele andava a montare là, e là montava Mike. Lo montava con un Goyoaga a cui si attaccavano redini di canapa. Mike montato da Michele sembrava animarsi in modo particolare, come se dentro quel suo corpo sgraziato e goffo e perfino ridicolo improvvisamente si infilasse la vita di un altro cavallo. Michele con lui riusciva perfino a fare qualche percorso: cose basse, intendiamoci, ma che un cavallo del genere fatto in quel modo potesse staccarsida terra sembrava quasi impossibile.

Così Michele dopo essere nato il 28 settembre 1962 a Ceggia, in provincia di Venezia, proprio ai confini con la provincia di Treviso, e dopo essere andato a montare Mike a Gorgo al Monticano, e poi aver montato anche al Circolo Ippico Frattina in provincia di Pordenone, e poi essere stato allievo del conte Alberto Tommasi di Vignano al Circolo Ippico Serenissima di Mogliano Veneto, e poi aver montato un po’ qua e un po’ là per vari privati, e poi essere tornato in Friuli per vivere ben undici anni della sua vita a Soleschiano nella scuderia della famiglia Prioglio, e dopo aver affrontato con i cavalli della famiglia Prioglio molti concorsi sia nazionali sia internazionali in Italia e all’estero (tra l’altro 5° posto nel Criterium nazionale di salto ostacoli 2003 ai Pratoni del Vivaro su Scarlet du Beaumont) e poi aver aperto la sua scuderia personale (la Scuderia FG) a San Giovanni al Natisone in provincia di Udine insieme alla sua compagna Paola Cusumano, ecco, dopo tutto questo Michele Facchin ha vinto domenica 30 novembre 2014 il titolo di campione triveneto assoluto indoor di 2° grado. Chissà cosa ne penserebbe Mike, se fosse ancora qui… Perché Michele, che è rimasto quel ragazzo gentile di poche ma giuste parole, lo dice sapendo di dire una cosa vera e importante: «Per apprezzare quello che si possiede oggi non bisogna mai dimenticare da dove si è partiti». Niente da dire: è semplicemente vero.

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