ANDREA CAMPAGNARO

credit Silvia Bonazzi Ph

di Umberto Martuscelli per Fiseveneto.com

Campagnaro, sì: ma quale? Perché fino a qualche tempo fa pronunciando questo nome venivano subito in mente il naso… diciamo greco e il baffo malandrino di Luciano. Un uomo con una storia affascinante alle spalle, fatta di cose ed esperienze che a raccontarle a qualcuno dei ragazzi di oggi, quelli che arrivano in concorso belli freschi e morbidi e sazi di tutto, difficilmente sarebbero prese sul serio. Eppure.

Però non è lui questa volta il Campagnaro del momento. Luciano è di certo protagonista della storia, mentre Andrea è il protagonista di ‘questa’ storia, in attesa di rilevare il ruolo di suo padre nel mondo del salto ostacoli, e magari – perché no? – diventare anche più importante di lui. Luciano Campagnaro, nato il 16 maggio del 1956, e Andrea Campagnaro, nato il 9 aprile 1995: padre e figlio.

Andrea, il 2014 è stato di certo l’anno più importante della sua carriera agonistica.

«Eh sì, direi di sì. Non solo per i risultati ma anche per la quantità di gare e di concorsi. Posso ritenermi davvero soddisfatto».

Tante gare e tanti risultati: ma quale è stato quello per lei più significativo?

«Il secondo posto nel Campionato d’Italia young rider, per due motivi. Primo perché era un risultato che cercavo da tempo: mi ero sempre avvicinato molto ma senza mai riuscire ad arrivare a una medaglia. Secondo, perché è stato molto bello ottenerlo con Antartica dopo un infortunio che l’aveva tenuta ferma per quasi un anno e mezzo; è rientrata in gara proprio poco prima di quella gara, tanto che io mai mi sarei aspettato di poter fare un risultato del genere».

Quale è la storia di Antartica?

«È una storia bella e difficile allo stesso tempo. Basti dire che quando è arrivata all’inizio del 2011 papà non voleva tenerla perché la considerava troppo complicata. Adesso invece viviamo l’uno per l’altra e viceversa».

Anche il Campionato d’Europa con Rivage du Borda sarà stato importante per lei, sebbene il risultato non sia stato positivo.

«Sì, certo. Purtroppo il risultato per l’appunto non è stato buono, ma tutta la stagione è stata positiva. Peccato non essersi confermati anche lì, ma pazienza, io non mi lamento per niente… ».

Quest’anno alcuni internazionali anche all’estero: che sensazione le ha lasciato la partecipazione a gare fuori dall’Italia? Competere a quel livello, cioè.

«Beh… è bello, molto bello. Andare in gara all’estero è una cosa che rafforza la sicurezza di un cavaliere, credo. Quando sei parte di una squadra e competi in Coppa delle Nazioni sai che stai facendo una gara non solo per te stesso ma anche per tre compagni, oltre che per l’Italia; e sai anche che gli altri tre compagni pensano la stessa cosa».

Questo la agita, la emoziona o le dà forza?

«Credo serva molto a sviluppare la tranquillità, la consapevolezza. Non si può entrare in una Coppa delle Nazioni con l’ansia di fare male: bisogna imparare a dominarsi, a controllarsi».

E quindi lei è una persona che si autocontrolla, che non si emoziona?

«Beh, a dire il vero quando ho fatto la mia prima Coppa delle Nazioni a Bonheiden, in Belgio, non volevo nemmeno entrare in campo… ».

Come sarebbe a dire non voleva entrare in campo…

«No, non volevo. Ero talmente preoccupato che non ne volevo sapere. Ero il primo della squadra nell’ordine di ingresso e… insomma, così. Poi ho fatto un errore a giro, è andata molto bene, ma quel primo percorso non me lo dimenticherò mai, da quanto agitato ero».

Sarà stato anche agitato, ma quel primo percorso l’ha pur fatto alla fine…

«Beh, è entrato in scena mio papà. Con le parole giuste, come sempre».

Papà Luciano è importante per lei, vero?

«Non è importante, è tutto nelle cose di cavalli. Litighiamo anche pesantemente, ma lui è tutto per me».

Invece nella vita diciamo extra sportiva lei è più indipendente da suo padre?

«No no no: io sono assolutamente dipendente da mio papà. Sono sempre stato molto attaccato e legato a lui, al suo modo di fare, di ragionare, di vedere le cose».

Lei conosce la sua storia di cavaliere?

«Non completamente. So che ha partecipato a molte gare importanti, Roma, Dublino, Rotterdam, grandi concorsi».

Ma della sua vita da ragazzo le ha mai raccontato niente?

«Un po’ sì. Mi ha raccontato di quando ha montato con il maggiore Oppes, anni molto difficili ma che lo hanno formato come uomo e come persona, anni fondamentali per il carattere».

Lei come cavaliere quali qualità crede di avere?

«Non lo so. Mio padre dice sempre che ho un buon senso nel percepire il galoppo dei cavalli, ma non saprei… ». 

E quali difetti?

«Oh… molti, molti, ci sono talmente tante cose che devo migliorare. Devo imparare a essere più calmo nell’affrontare gli ostacoli in gara, per esempio, che è un aspetto molto importante per l’esito di un percorso ovviamente… Credo che non si finisca mai di imparare a cavallo».

La prospettiva per il tuo futuro?

«Devo dire che mi piacerebbe molto diventare una persona come mio padre, qualcuno che da adulto possa essere un esempio, un riferimento per i giovani».

Lei si dedicherà a tempo pieno al montare a cavallo?

«Sempre e per sempre. Quest’anno ho finito le superiori, ho preso il diploma di liceo scientifico e da adesso in poi mi dedicherò solo ai cavalli».

Ha delle passioni diverse dai cavalli e dall’equitazione?

«Mi piacciono molto il calcio, tifo per la Juventus, e l’automobilismo. E poi la playstation: dato che non esco molto di casa quello è diventato anche un luogo di incontro virtuale con i miei amici».

Letture, cinema, musica?

«Niente di particolare. Mi piacciono molto alcuni film che guarderei tutti i giorni, ma non sono un appassionato di qualche specifico genere».

Programmi di gara per il 2015?

«Diciamo che il primo obiettivo sarebbe quanto meno ripetere quello che è accaduto nel 2014, e possibilmente migliorare. Poi dovremmo riuscire a trovare qualche cavallo che possa fare da spalla a Rivage du Borda e Antartica, in scuderia abbiamo alcuni soggetti giovani, vedremo».

 

Potrebbero interessarti anche...